Buongiorno ragazzi,

 

anche questo lunedì comincimo la settimana con i temi che Orsola Riva, Luca Tremolada e Gianluigi Schiavon hanno pensato per voi.

 

Orsola Riva, per il Corriere della Sera, vi parla delle donne che sono più brave a scuola, ma guadagnano meno.

La settimana scorsa è ricorsa la festa della donna e molti di voi saranno andati a manifestare nelle piazze, altri invece saranno rimasti in classe. La giornalista vorrebbe proporvi una riflessione, anche se ormai dall’8 marzo è passato qualche giorno: proprio la settimana scorsa AlmaLaurea ha pubblicato un rapporto sullo svantaggio competitivo delle donne rispetto agli uomini nel mercato del lavoro. AlmaLaurea studia la condizione di lavoro dei laureati e dei diplomati e con questo rapporto ha confermato una cosa particolarmente fastidiosa: nonostante le ragazze siano più brillanti dei ragazzi al momento della maturità e negli anni universitari, nel momento di entrare nel mercato del lavoro iniziano a scontare uno svantaggio che poi si trascinano per tutto il resto della vita. Questo svantaggio si misura in termini di stipendio, intorno al 20%, parlando di dati riferiti all’impiego a 5 anni dalla laurea.

Come mai accade questo? Quanto pesa il condizionamento culturale e il giudizio dei datori di lavoro? Quanto pesano le condizioni di vita, il fatto di avere figli e i condizionamenti culturali già al momento della scelta? AlmLaurea dice infatti che ancora oggi, ad esempio, due ingegneri su tre sono uomini e le donne sono in minoranza. Proprio partendo da questa situazione la Riva vi pone una domanda: cosa si può fare secondo voi per uscire da questa situazione  di svantaggio perché le ragazze possano competere con i ragazzi? Quanto bisogna ancora rompere i condizionamenti culturali e come possono incidere le politiche a favore delle donne e delle madri?

 

Luca Tremolada, per il Sole 24 Ore, vi parla  vi parla del nuovo Governo. 

Ci sono state le elezioni e di conseguenza il paese è cambiato. Si vede dalle numerose cartine che in questi giorni si sono susseguite e alternate in questi giorni sui siti internet e su tutti i giornali. Ci vorrà ancora qualche giorno prima che si riunisca il nuovo Parlamento e si dia vita a un nuovo Governo.

La domanda che il giornalista vi pone è la seguente: cosa chiedereste al nuovo Governo? Provate a utilizzare un linguaggio alla Twitter e in 140 caratteri scrivete tutto quello che vorreste da questo nuovo Governo.

 

Gianluigi Schiavon, per il Quotidiano Nazionale, vi parla di  emoticon.

Sono 2666 le emoticon che costituiscono una sorta di vocabolario alternativo e che per qualcuno sono un nuovo linguaggio e un nuovo modo di scrivere. Per altri, invece, c’è una differenza abissale tra scrivere e mettere faccine. C’è poi chi pensa che si tratti di roba vecchia, alla quale avevano già pensato gli egiziani, e chi parla di pericolo di equivoco.

Anche la Crusca promuove le faccine, ma bisogna stare attenti alle incomprensioni: gli accademici dicono sia molto facile confondere il significato dei simboli. Gli emoziono nascono più o meno nel 1990 dalla società di comunicazione giapponese NTT DoCoMo, al momento sono presenti ogni giorno in circa sei miliardi di conversazioni, sono in sostanza la lingua più utilizzata in rete.

Ci sono ovviamente degli emoticon che vanno per la maggiore e che vengono utilizzati più spesso: un esempio è la faccina che ride fino alle lacrime viene utilizzata 332 milioni di volte, quella con gli occhi a forma di cuore 254 milioni di volte,  il bacio con il cuoricino 160 milioni di volte.

E gli equivoci? Spesso la faccina con le lacrime di gioia viene scambiata per quella triste, oppure l’emoticon che abbraccia scambiata per una che saluta, quella con la bava alla bocca che sembra sorridere e invece indica bramosia e desiderio. Il giornalista continua citando l’emoticon con la goccia al naso che non indica raffreddore, ma avere sonno, quella verde che sembra indicare tristezza e invece è  nausea e in ultimo il saluto a dita divaricate che in realtà indica il saluto vulcanico.

Nello sbaglio è cascato anche  il Presidente dell’Accademia della Crusca che ha inviato la faccina che vomita al posto di una smorfia innocua, ammette però di divertire a inviare le faccine anche se per lui non devono essere sopravvalutati e considerati una nuova dimensione della comunicazione sociale. Per lui tra lo scrivere e mettere le faccine c’è un’enorme differenza e ci sarà sempre,

Riassumendo: il rischio è quello di una semplificazione del linguaggio e dell’oblio  del buon scrivere e del bel parlare. Ribaltando il problema la domanda per voi è la seguente: gli emoticon fanno male alla buona scrittura?

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