Il 7 gennaio 2015, un commando di tre uomini armati e incappucciati ha assaltato la sede del giornale satirico francese, Charlie Hebdo, e ha aperto il fuoco al grido di “Allah Akbar”.
L’attacco, messo in atto da due fratelli franco-algerini, Said e Cherif Kouachi, e da Hamyd Mourad, un giovane senza fissa dimora, nella sede parigina di Charlie Hebdo, giornale satirico, noto per il suo stile ironico e provocatorio, si è sviluppato in tre momenti fondamentali. I tre uomini armati hanno fatto irruzione nella redazione del settimanale. Hanno radunato gli uomini presenti in una stanza e hanno aperto il fuoco. Poi si sono allontanati, dopo aver ucciso a sangue freddo un poliziotto, facendo perdere le proprie tracce, e in tutta la regione di Parigi é immediatamente scattata la caccia all’uomo. É stato un massacro, 12 i morti: un addetto alla portineria, otto giornalisti, uno dei poliziotti assegnati alla protezione del direttore, un invitato alla riunione di redazione, che si stava tenendo quel giorno, più un secondo poliziotto accorso immediatamente dopo la sparatoria e colpito sul marciapiede di fronte all’edificio. Tra le vittime anche il direttore Sthepane Charbonnier (Charb), e i tre vignettisti Georges Wolinski, Cabu e Tignous.
Il giornale era entrato nel mirino degli estremisti islamici a causa della satira pungente contro il profeta Maometto.
Charlie Hebdo é un giornale satirico; il suo unico scopo era quello di denunciare “les cons”, “gli idioti”: gli idioti di tutti i partiti politici, tutte le nazionalità e tutte le religioni. Le caricature del profeta, che hanno scatenato l’attacco, intendevano denunciare il fanatismo religioso. Per quanto esse possano essere considerate scandalose e irrispettose, ciò non giustifica l’omicidio di dodici persone innocenti, le quali stavano semplicemente esercitando la propria libertà di espressione.
Contro l’oltraggio non avrebbero potuto usare le parole? La Chiesa cristiana, offesa da caricature considerate irrispettose, trascinò il giornale in tribunale. E così fecero anche partiti politici, altri media e associazioni religiose. Essi hanno utilizzato le parole contro altre parole, l’inchiostro contro l’inchiostro. Contro l’inchiostro, solo altro inchiostro dovrebbe scorrere, mai sangue. La violenza non è mai una soluzione. Eppure all’attacco terroristico è seguita una escalation di violenze. Il giorno dopo l’attentato, molti luoghi di culto musulmani sono stati colpiti. Le azioni di tre uomini isolati e insani hanno scatenato la paura e l’odio generalizzati contro l’intera comunità islamica. L’attentato, l’omicidio di persone innocenti, contrasta con gli insegnamenti dell’Islam, che, come ogni altra religione, intende lanciare un messaggio di amore, pace e comprensione.
I fanatici che hanno agito sono solo una ristretta minoranza, estremisti che interpretano i testi sacri per giustificare le loro terribili azioni. Contro questi fanatici sono in migliaia i manifestanti pacifici, senza paura, scesi in piazza per supportare la libertà di parola e onorare la morte di 12 persone innocenti.
La morte di questi uomini non deve essere vana. Essi sono morti per difendere un proprio diritto, sono morti in piedi di fronte a un’arma che voleva farli tacere.
Per questo motivo io sono Charlie, ma sono anche tutti gli altri morti per la libertà di espressione. Sono Cabu, Charb, Tignous, Wolinski, Honoré, vignettisti che denunciavano gli oppressori e i potenti. Sono Frederick, sono Franck, sono Elsa, sono Bernard, sono Ahmed, sono Mustapha, sono Michel, morti per difendere un giornale. Sono Clarissa, sono Philippe, sono Yohan, sono Yoav, sono Francois-Michel, morti mentre facevano la spesa. Io sono Charlie, ma anche tutti gli altri.
Queste poche parole non sono niente, ma sono la mia forza. Viva la libertà di parola.

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