Mi trovo seduta sul divano guardando in televisione il telegiornale e, ancora una volta, sento la solita notizia. Non so più neanche quante volte l’abbia sentita.
“Affonda un barcone di migranti”.
Nel sentire queste parole ripetute tante volte dentre me stessa sembra salire qualcosa, ma non so veramente cosa.
Tristezza forse?
Rabbia? O paura?
Sono detti “viaggi della speranza”, ma che con essa a volte non hanno nulla a che fare.
Persone che partono dai loro paesi, dove non hanno diritti forse, dove si soffre per le guerre, la povertà e la fama. Paesi spopolati, ormai con poca gente; la maggior parte è morta.
Lasciano tutto lì, famiglia, parenti e ricordi, portando con sè solo poche cose, o molto spesso nulla.
Partono con la speranza di trovare una situazione migliore di prima, condizioni più dignitose, con la paura di morire e non essere accettato. Con una voglia di continuare a vivere . Eppure questa voglia si trasforma in morte.
Morte magari per la poca sicurezza del barcone e le troppe persone a bordo o per il poco igiene. Morte per una piccola distrazione di colui che guida tutti.
Morte per la vita. In cerca di vita , la gente muore.
E dopo tutto ciò, chi riesce a salvarsi si ritrova in paesi che hanno paura di loro, che criticano e maltrattano.
Gli immigrati, pur di lavorare e guadagnare qualcosa, accettano di tutto, anche quello che gli abitanti del paese rifiutano perché cosiderato non dignitoso.
Anche gli immigrati hanno una dignità, tutti ce l’hanno! La dignità è un loro diritto.
Ma non hanno il diritto di morire così bambini, donne e uomini solo per una diversa religione o per il colore della pelle o, ancora, per le differenti tradizioni.
Non è possibile morire così…
