A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino ricordiamo il discorso del presidente Ronald Reagan nel 1987, che pronunciò «Mister Gorbaciov, tiri giù questo muro». In effetti, due anni dopo il famoso muro si sgretolò: sembrava che tutti i muri dovessero crollare, che le frontiere si annullassero, che il mondo fosse finalmente piatto, senza ostacoli da superare. Non è stato così. Nel 1990, alla caduta della Cortina di Ferro (il più grande muro politico e fisico mai visto), si contavano 15 barriere di confine, una decina in più di quelle in essere alla fine della seconda guerra mondiale. Oggi ce ne sono settanta e almeno altre sette sono in via di realizzazione o già finanziate. Non è finita la storia e non è finita nemmeno la geografia: il mondo non è piatto, è sempre più punteggiato da frontiere dure, di cemento e filo spinato, tecnologiche, telecamere e droni. Geograficamente le barriere sono localizzate principalmente in Asia. Eppure, forse inaspettatamente, l’Europa si presenta più divisa di Africa e America. Secondo uno studio dello spagnolo Centre Delas, dagli anni Novanta a oggi, gli Stati membri dell’Unione europea hanno costruito quasi mille chilometri di muri (senza contare le operazioni di pattugliamento e respingimento in mare). Infatti dei 28 membri della Ue, dieci hanno alzato muri: Ungheria, Bulgaria, Slovenia, Austria, Grecia, Spagna, Lituania, Estonia, Lettonia, Regno Unito. Se si escludono i tre Paesi Baltici, che stanno costruendo barriere di difesa ai confini con la Russia, tutte le altre costruzioni sono state giustificate dalla necessità di fermare o rallentare i flussi di migranti. Effettivamente i muri sono un elemento ricorrente nella storia quando le popolazioni e i governi si sentono insicuri, ma è solo un processo di rallentamento. La storia ci insegna anche che nessun muro è stato inespugnabile e continuerà a non esserlo, poiché la voglia di libertà e di salvezza farà almeno vacillare se non crollare muri ideologici e fisici.
