Per Revenge Porn si intende la condivisione non consensuale di materiale mediatico intimo a terze parti. Emblematico il caso della maestra di Torino, il cui compagno, dopo la fine della relazione, ha divulgato presso degli amici video che la ritraevano in atteggiamenti intimi. La ragazza è stata minacciata, messa alla gogna e licenziata; è infatti frequente, che quando la vita sessuale di una donna viene resa pubblica, essa venga allontanata dall’ambiente di lavoro e sottoposta allo “slut shaming”, facendola sentire colpevole per determinati comportamenti sessuali che si discostano dalle aspettative tradizionali. Inoltre si aggiunge il “victim blaming”, la pratica sociale per cui si cerca di dare colpa alla vittima per il reato che ha subito. Su la Stampa è stata data voce ad uno degli amici del colpevole, padre di un alunno della maestra, il quale ha definito il gesto una “goliardata” da uomini e commentando che a compiere tali gesti c’è sempre il rischio che si debbano poi affrontare conseguenze. Dal momento che in Italia non basta avere una legge che tuteli da questo reato per stare al sicuro, per garantire di rimanere nel proprio posto di lavoro, di non essere guardati con disprezzo dalla società, la discussione sul Revenge porn non deve diventare un dibattito a due schieramenti opposti. Il Revenge Porn non è goliardia, chi lo mette in pratica è consapevole di avere in mano del materiale personale che al giorno d’oggi può rovinare la reputazione dell’altra persona in una società che ancora costringe la donna ad apparire come casta e seria denigrando atti che sono in realtà solo l’espressione di una sessualità più libera. Purtroppo così non arriveremo mai all’emancipazione della sessualità e sensualità femminile, rimarrà sempre nascosta e chi cercherà di allontanarsi dai canoni imposti dalla società e dalla tradizione, verrà punito, perché il Revenge Porn è punizione e cattiveria, e lo è anche continuare a giudicare una donna per quello che fa nel suo privato e per come usa il suo corpo.