“Sono stressato”, “queste verifiche mi schiacciano”: frasi che si sentono dai ragazzi molto più di quanto si potrebbe immaginare. Sono rivolte ad amici, genitori, perfino insegnanti, ma raramente vengono prese seriamente, almeno quanto dovrebbero. Qualcuno più grande potrebbe anche riderci su: come, studi e sei stressato? E noi che lavoriamo, cosa dovremmo dire? Poco ci possiamo fare; lasciando l’ambiente lavorativo a chi di dovere, la scuola non è stimolante. Non si fraintenda: sin dalle elementari tutti noi abbiamo avuto una “materia preferita”: qualcosa che ci piace studiare, o di cui almeno un argomento ci appassiona. Ciò che diventa pesante più si procede nel proprio percorso di studi è l’obbligo di studiare anche quelle materie che non ci piacciono, di cui magari neanche comprendiamo l’esistenza a scuola. Spesso e volentieri capita di sentire l’ennesima riproposizione della scusa “siete voi che non studiate”. Per certi versi quest’affermazione potrebbe non essere totalmente errata: rispetto ai tempi passati, cui comunque si accompagnano impostazioni e sistemi di studio totalmente differenti, il tempo che la maggior parte dei ragazzi dichiara di passare studiando è in crescente diminuzione; dati, comunque, da prendere con le pinze: molti, infatti, per un motivo o per l’altro dichiarano un tempo inferiore rispetto al reale. Sembra essere un altro di quegli indici di inserimento sociale, come se esistesse una regola del “se ti fai la gobba sui libri, non sei dei nostri”.
Tralasciando le personali abitudini di studio di ognuno di noi, ciò che è veramente importante sapere è: cosa si insegna a scuola? E, soprattutto, come lo si insegna?
Sembrerebbe un’antitesi, eppure, nella scuola com’è raccontata dai media, i professori non esistono. Leggiamo sempre e solo statistiche sui voti degli alunni, sulla salubrità dell’ambiente scolastico, magari sull’occupazione. Si tralascia che insegnare è importante quanto imparare, ma perché? Magari non è interessante, o forse siamo troppo abituati a considerare quello che riusciamo a fare sfrutto dei nostri soli sforzi (soprattutto, per esperienza, chi ha difficoltà a mantenere il passo con il suo anno di studio), quando magari sotto c’è l’impegno di un insegnante particolarmente determinato a non abbandonarci a noi stessi, a farci capire un argomento ad ogni costo.
La necessità del saper insegnare è manifesta nei dati preoccupanti sul rapporto ragazzi-scuola, che di certo non ci fanno fare bella figura tra gli altri Stati europei. Le soluzioni in realtà sono limitate: si potrebbe intervenire solo sul metodo d’insegnamento individuale dei vari docenti, favorendo, magari, un migliore rapporto individuale, non limitato alla classe come mente unica a cui insegnare. Un docente non deve spiegare, interrogare, verificare; il docente deve insegnare, e per farlo deve assicurarsi che tutti imparino. Ma questo è quasi un anello mancante del processo e spesso, per colpe suddivise bilateralmente, è reso molto difficoltoso.
La nostra istruzione è qualcosa in più rispetto agli altri, ma anche qualcosa in meno. E, date le statistiche di molti altri Paesi, forse sull’argomento c’è ancora molto che dovremmo imparare.

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