Questa storia forse non ha nulla a che vedere con quella di Lorenzo, forse potrà sembrare di scarso valore.
Ma un pezzettino l’ho vista coi miei occhi, e ho voglia di raccontarla.
E’ una storia di sacrifici e di coraggio, molto coraggio: è una storia di donne.
Due giorni fa ho partecipato alla laurea di una mia cara amica, nella città di Padova: ha presentato una tesi sul conflitto razziale e la grande divisione sociale del suo paese: la Serbia.
Questa storia, non conosciuta da molti, è solo un “sentito dire”, un susseguirsi di storie raccontate da chi l’ha vista. Nemmeno io la conosco, lo ammetto, e i libri di storia la sorvolano come se tutti la volessero dimenticare. E’ un amalgamarsi di opinioni e di religioni: musulmani, ortodossi, un paesaggio fatto di sinagoghe, moschee e chiese cristiane. Lei è nata lì, tra quella confusione etnica che ha cambiato il suo destino. La guerra ha cambiato il destino di tutti loro.
Si è laureata in mediazione linguistica, e dopo un’esposizione carica di emozioni, la commissione l’ha dichiarata dottoressa con il punteggio di 103. Sua madre piangeva, le sue sorelle la guardavano fiere. Sono ritornate in Italia per lei.
Ritornate poiché la loro storia parla di un’appartenenza a due paesi. Tutto nasce lì in Serbia dopo una decisione triste: Una famiglia in preda alla povertà, come molte altre, una condizione economica precaria, un bisogno estremo di cambiare paese. Hanno scelto l’Italia, è stata la loro penisola di approdo per scappare dal disagio, dalla tristezza, dai visi segnati dalla guerra.
L’Italia li ha accolti come accoglie tutti i naufraghi del mondo che ne abbiano bisogno, è un paese generoso. La loro vita è migliorata, è diventata “normale” come dovrebbero essere tutte: un lavoro, del buon cibo, una scuola in cui imparare molte cose. Le ragazze sono cresciute bene, si sono ambientate col tempo, sono diventate a tutti gli effetti cittadine Italiane. Un grande dolore però ha rotto il loro equilibrio: la morte del padre. Una famiglia distrutta, sovrastata da domande esistenziali e molto vuoto. Tre orfane e una vedova.
Assurdo come la vita ci travolga in pochi istanti e tutto muti, tutto cambi: da un giorno all’altro non ci sei più, e per l’universo non sei nulla, ma per quelle quattro donne sei il tutto.
Proprio mentre quelle quattro donne ballavano sulla loro musica balcanica, io pensavo a quante lacrime avessero versato in passato, prima di avere dei sorrisi così belli, così lucidi e consapevoli. E a momenti, piangevo anche io, forse per il vino, forse per la felicità o forse al pensiero di quelle quattro piccole donne segnate dal tempo e dalle loro esperienze, terribili quanto magnifiche. Sono state coraggiose, sono state forti insieme, unite come non mai, il dolore a volte unisce molto più di qualsiasi altro sentimento.
E solo allora ho realizzato: i sacrifici di una madre, la dedizione dei figli, la fragilità dolce di una bimba di cinque anni che non ha più il suo papà. Questa storia è molto diversa da quella di Lorenzo, ma ha qualcosa in comune: la forza che nasce nelle persone per superare le difficoltà, che normalmente gli esseri umani affrontano nel corso della loro piccola esistenza.

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