Consideriamo la seguente situazione:
Sei una persona che lavora, ma che non è soddisfatta di ciò che fa perché non ne trae
entusiasmo e trova il proprio impiego poco fruttifero. Col passare degli anni, ti
rendi conto che la situazione non migliora e che ti senti come
se fossi in una gabbia soffocante, da cui non desideri altro che fuggire, ammaliato da ciò che
brilla fuori da quella prigione.
Cosa fare allora? Come si fa a tirarsi su di morale se, anche solo per
distrarsi sfogliando una rivista, si è circondati da offerte di viaggi
tropicali, racconti di avventure extra continentali e réclame raffiguranti persone spensierate e
felici?
È chiaro che mollare tutto e “partire per Honolulu con Mago Merlino” diventi il sogno
quotidiano di ogni persona stressata e scontenta della propria vita.
Ma cos’è che ci blocca in modo così determinante da non permetterci di partire verso la
libertà che sentiamo verso quel tanto desiderato viaggio senza ritorno? Abbiamo sul serio
bisogno di fuggire o è solo uno sfizio passeggero, frutto di un capriccio per
evadere dall’opprimente quotidiano?
Se dovessi mettermi nell’ordine di idee di organizzare un viaggio simile, non
credo che sarebbe poi così semplice: si tratta pur sempre di abbandonare ogni
certezza come il lavoro, la famiglia, le amicizie, la propria casa ed i propri hobby per iniziare
tutto daccapo, seguendo una vita nomade da vagabondo, all’insegna della povertà e della
scomodità. Si tratta di uno stile di vita che comporta sicuramente molteplici problemi a
partire da quelli finanziari a quelli salutari, sociali e via dicendo. Certo, per ogni
fattore negativo ci sono anche svariati aspetti positivi e molti problemi possono essere
considerati come opportunità di crescita e formazione. Il vero problema, a questo
punto, mi domando se non sia proprio la paura dell’ignoto e del diverso a
bloccarci. Io credo che se si desidera ardentemente una cosa, non si dovrebbe avere
paura perchè questa si prova quando ci si sente inermi e fragili. Non si dovrebbe
provare se si è innamorati di ciò che si fa ed è per questo che penso che se una persona è nata
per viaggiare ed esplorare nuovi confini, è giusto che molli tutto in qualsiasi momento e situazione per
partire. Se uno non vuole fare una cosa, troverà ostacoli anche dove
non ce ne sono, così come uno che è fortemente convinto della propria aspirazione troverà il modo di
cavarsela: l’unica cosa che è necessaria è la forza di volontà, perché senza di questa non si compirà mai
niente di grande.
Si sa che è meglio avere rimorsi che rimpianti e, se non partiamo adesso, tra qualche anno ci
mangeremo le mani, pensando che ci siamo giocati gli anni più belli e ricchi di spensieratezza
per permetterci di viaggiare, o magari penseremo che mollare tutto sia da incoscienti, ma la
verità è che c’è una falla nell’intero sistema ed il mio non è un pensiero complottista, forse
solamente troppo ingenuo, ma sono convinto del fatto che la nostra vita non vada misurata in
base al proprio reddito o alla posizione sociale occupata. La vita, piuttosto, va stimata in base al numero dei
sogni realizzati e portati a
termine con costanza e dedizione. Se prendiamo delle decisioni spinti dalle nostre speranze
anziché dalle nostre paure, le cose non possono andare male. Possiamo essere sfortunati,
certo, ma in ogni caso ci saremo avvicinati di un piccolo passo verso la nostra felicità.
Mollare tutto e partire non è una fuga, è una ricerca!
Forse, un altro sbaglio che compiamo è quello di dare troppo peso alle opinioni altrui, che
sembrano contare quasi più del nostro benessere. L’angoscia che la nostra scelta non possa piacere alle
persone che ci circondano è forse
causata dal timore che gli altri proveranno a convincerci a non inseguire i nostri sogni
proiettando su di noi le loro paure, dissensi e delusioni,
criticandoci e dandoci dei folli sprovveduti. Tutto questo rumore nella testa ci
impedisce di prendere le decisioni più critiche, che invece è giusto che vengano superate.
Non ci sono giustificazioni che reggano: continuare a cercare appigli all’esterno è solo
un modo per rimandare quella che potrebbe essere una situazione di benessere e
miglioramento e nessuno di noi sarà felice di aver rinunciato ad un’avventura del genere per
paura di cambiare. Il modello al quale mi ispiro sotto questo punto di vista è sicuramente il
protagonista di Into the wild: Christopher McCandless, giovane americano benestante che, a
seguito della laurea, abbandona amici e famiglia per sfuggire ad una
società consumistica e capitalista nella quale non riesce più a vivere, inseguendo così il suo
sogno di raggiungere l’Alaska.
La morale che ne ho tratto è la vita stessa, che Chris ha portato all’estremo. Noi tutti
cerchiamo una cosa soltanto: non i soldi, non il lavoro, non il potere, bansì la felicità. Lui ha portato questa
ricerca ai limiti delle possibilità umane (sia
fisiche che psicologiche) passando per mille
peripezie. Il viaggio che ha intrapreso, dunque, è il
percorso che ha compiuto per arrivare alla comprensione di sé e dei tormenti che lo
turbavano, senza del quale non sarebbe giunto a certe conclusioni e soluzioni ai propri dubbi
esistenziali.
La necessità di trovare un ordine e un significato alla propria esistenza in modo coraggioso è
qualcosa che dovrebbe riguardarci tutti, ma sono pochi quelli che l’ascoltano. Chi lo fa, anche
a prezzo della vita, è speciale e ammirevole, perché il viaggio più lungo e arduo è quello
interiore.