Sono vietati libri con le copertine rigide, così come quelli regalati da amici e parenti e non se ne possono avere più di due: questo succede nelle carceri, dove il tema della lettura sta arricchendo la cronaca di polemiche e scioperi della fame. Se per alcuni leggere è un piacere, per altri è un privilegio da conquistare giorno dopo giorno, come in prigione, dove migliaia di individui privati della loro libertà vivono per il tempo della loro condanna, ristretti all’interno di spesse mura. A volte, però, il luogo di detenzione può non essere un ripostiglio inaccessibile agli sguardi dei buoni cittadini, bensì uno spazio di rinascita, in cui provare a trasformare gli sbagli commessi in punti di forza per ricominciare in modo migliore. In questo percorso una delle tappe fondamentali sarebbe proprio la lettura, che aiuta ad evadere dalla realtà per entrare in un mondo del tutto immaginario e far riflettere sulla propria esistenza, magari proprio seguendo l’esempio del protagonista del romanzo preferito. Uno dei migliori esempi di quanto sia importante la cultura in carcere proviene dal film diretto da Frank Darabont Le ali della libertà, dove Andy, un detenuto della prigione di Shawshank, ottiene la concessione, dopo vari tentativi, di ampliare la biblioteca con libri di ogni genere e riesce alla fine, con il suo contributo, a formare altri prigionieri: fa diplomare i più giovani e restituisce un pizzico di libertà a quelli più anziani, alimentando la loro fantasia, favorendo dialogo e scambi di idee. Perché togliere all’uomo, quindi, una delle fondamenta del proprio essere? Certo, è bene che i colpevoli paghino per ciò che hanno commesso, ma vanno previsti piani di rieducazione e di reinserimento sociale: in questa prospettiva, leggere un libro non è uscire dal mondo, ma entrarci attraverso un altro ingresso.
