La più grande gioia nella vita di un genitore sta nel veder crescere i propri figli, e vederli ottenere dei risultati che li rendano fieri di sé.
Questo è l’indimostrabile, il concetto più banalmente ovvio e inconfutabile, del complicatissimo mondo dei genitori. Tuttavia, i protagonisti degli episodi di cui veniamo a sapere non lo rispettano affatto.
I genitori che, alla partita dei figli, arrivano ad offendersi tra loro, verbalmente o addirittura fisicamente, per sostenere la squadra, dimostrano meno maturità di quanta ne dimostrerebbero se iniziassero a ciucciarsi i pollici e a gattonare.
Cercherò di analizzare questi comportamenti, partendo da una divisione fondamentale, senza la quale non si potrebbe giungere a delle conclusioni: quella fra genitori di sesso maschile e femminile.
Partirò dalla categoria che più spesso è causa di tali episodi. Il tipo di entusiasmo dimostrato da questi papà non è, in effetti, quasi per nulla legato al desiderio di vedere il proprio figlio premiato per il suo impegno con una coppa o qualche altra sorta di riconoscimento. Ciò che li spinge a comportarsi in modo tanto incosciente è solo un inconscio desiderio di rivincita. Questa non va però intesa come rivincita verso i loro insuccessi. Le esperienze passate, positive o negative, non hanno in genere influenza su questo genere di comportamenti. Essi bramano una rivincita nei confronti del tempo, che li ha privati senza pietà dei loro spensierati momenti infantili, caricandoli di responsabilità e di una vita di rinunce, dalla quale si rifugiano, parassitando l’infanzia dei propri figli. Vivono la partita del figlio con molta più determinazione di quanta ce ne metta lui stesso, che cerca solo il divertimento. Vogliono urlare a tutti gli altri, che il figlio è imbattibile, perché senza saperlo hanno paura del momento in cui anche lui dovrà smettere di giocare e vogliono accumulare la maggior quantità possibile di soddisfazioni. Questo è l’anticristo della sportività. È delirio egoista.
Passando alle mamme, la situazione si fa ben diversa. Per ragioni culturali esse sono in genere di gran lunga meno entusiaste all’idea del figlio calciatore rispetto a quanto non lo sia un gran numero di padri. Per questo, presentano una tendenza di gran lunga inferiore a perdere il controllo durante il tifo. L’unico caso degno di nota che determina atteggiamenti scorretti e addirittura violenti da parte di questa fetta di pubblico si può individuare nella terribile e incontrollata piaga del superprotettivismo. Ciò concerne una serie di comportamenti che, originati dallo stesso genere di egoismo il quale, come analizzato sopra, muove incontrollatamente gli uomini, ovvero la paura di veder scorrere troppo in fretta la giovinezza del proprio ragazzo, porta le madri a compiere in modo incontrollato azioni completamente irrazionali. In una partita di calcio, una donna con questa tendenza potrebbe essere stimolata negativamente da un commento ad alta voce formulato da un genitore avversario, oppure da una sentenza sfavorevole dell’arbitro. In questo caso potrebbe quindi diventare tanto violenta quanto lo diventano gli uomini.
Lasciando da parte il ragionamento particolare, tengo ad esplicitare che il ruolo fondamentale di ogni genitore è provvedere alla salute e al benessere del figlio. Questi orribili esempi di pessima educazione ci forniscono una buona idea di come chi scorda l’importanza di ciò, finisca con l’agire solo in base al proprio personale egoismo. L’atto della procreazione è la più grande dimostrazione di generosità che si possa compiere. Si donano il proprio tempo e il proprio denaro a una creatura a cui non dobbiamo nulla, soltanto perché questa possa essere una buona persona in futuro. L’egoismo vanifica tutto questo.

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