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Il fatto che il repubblicano Donald Trump abbia vinto le ultime elezioni americane è noto a tutti, ciò che meno persone conoscono però è il funzionamento del sistema elettorale degli Stati Uniti, che è particolarmente complesso e diverso dal nostro. 

Gli Stati Uniti sono un grande stato del Nord America che comprende al suo interno 50 stati semi-autonomi. Ogni stato federale elegge un numero di “grandi elettori” pari al numero di senatori e di deputati che manda al Congresso, proporzionalmente al numero dei loro residenti. Il sistema di voto è maggioritario. I senatori sono 100 e i deputati 435, per un totale di 535 parlamentari mentre i grandi elettori sono 538 perché, per l’elezione presidenziale, anche Washington Dc ha diritto a tre grandi elettori. Vince il candidato che ottiene almeno 270 voti tra i grandi elettori, cioè la maggioranza assoluta. I due partiti principali sono da un lato quello Repubblicano, quest’anno rappresentato da Donald Trump, partito della destra conservatrice, un’unione del liberalismo con il conservatorismo sociale e il tradizionalismo, e dall’altro quello democratico, quello di Kamala Harris, considerato il partito del centro-sinistra e della sinistra liberale. 

A fronte delle recenti elezioni, le testate giornalistiche hanno offerto prospettive variegate in seguito all’analisi della vittoria, nuovamente dopo 4 anni, del repubblicano Trump, che ha conquistato 312 voti tra i grandi elettori. Il “New York Post” ha evidenziato le reazioni globali della vittoria di Trump, riprendendo e “postando” molte delle prime pagine dei giornali internazionali che hanno riflettuto sull’importanza storica dell’evento. Il “Vox” ha scelto invece di analizzare i fattori chiave che hanno portato alla vittoria del partito repubblicano, sottolineando il suo successo in stati decisivi, quali la Pennsylvania, la Georgia, il Wisconsin e il North Carolina. Va infatti precisato che gli Stati Uniti sono nettamente divisi in stati tradizionalmente elettori del partito democratico e stati da sempre elettori del partito repubblicano. Ci sono poi gli stati definiti “swing states” cioè quelli da cui realmente dipende il risultato delle elezioni, quei paesi cioè neutri politicamente che, nel corso della storia, non si sono mai affermati nè chiaramente di destra, nè chiaramente di sinistra. Gli swing states sono 7: il Wisconsin, il Michigan, la Pennsylvania, la Georgia, il North Carolina, l’Arizona e il Nevada. Quest’anno nella maggior parte dei suddetti stati ha vinto il partito repubblicano e allora ci si interroga sui motivi del fallimento della sinistra e del successo riscontrato dalla destra. Personalmente credo ci siano molteplici fattori che hanno influito sul risultato, tra cui l’inesperienza di Kamala Harris, il ritardo della sua candidatura, la campagna elettorale della sinistra poco concreta, le promesse della destra e la sua capacità di comunicare al popolo, opposte all’astrattismo della sinistra che non riesce a cogliere e lavorare sui bisogni primari dei suoi elettori. Ritengo infatti che il fallimento della sinistra americana, che ci ha toccato anche in prima persona in Italia negli ultimi anni, sia dovuto proprio alla sua incapacità di fare presa e di affrontare problemi che davvero riguardano i suoi potenziali elettori. La sinistra si sponsorizza toccando prevalentemente questioni relative ai diritti delle minoranze che poco importano al cittadino medio, tralasciando troppo spesso i cardini e i valori fondanti dell’elettorato della sinistra di un tempo: diritti dei lavoratori, garanzie previdenziali, aumento dei salari delle classi medio-basse, fiscalità proporzionale al reddito, campagne per il disarmo. Così la sinistra perde voti, mentre la destra torna a crescere. Capace di sedurre i singoli individui, di fare leva sui problemi della quotidianità di ognuno e assicurando di eliminarli, fa promesse di stampo populista, che tendenzialmente faticherà a realizzare, riguardo agli aspetti del quotidiano che il cittadino americano aspira a migliorare. Punta sul garantire la sicurezza dei cittadini, vantando la costruzione di barriere volte a ridurre l’immigrazione, e promette l’abbassamento delle tasse senza esplicitare le rinunce richieste alla popolazione.

 Allora ci ha davvero stupito il risultato di queste elezioni?

La risposta è sì, o almeno la rielezione di Trump ha destato un grande interesse e diffusione multimediatica, ci basti pensare che anche nei giornali italiani tutte le prime pagine erano improntate sull’accadimento. Il Sole 24 ore ha fatto un’analisi simile a quella del Vox, riflettendo sul come e il perché abbia vinto Trump nella maggior parte dei paesi neutri politicamente. “La Repubblica” ha riportato le parole di Trump: “Abbiamo fatto la storia”, enfatizzando il suo focus di portare negli Stati Uniti “una nuova età dell’oro”. 

Il rischio è che la nuova età corrisponda ad un trionfo dell’individualismo e del narcisismo a scapito dei diritti della collettività che così faticosamente sono stati conquistati nel passato.  

 

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