Forum internazionale della Gioventù. Sochi, Russia. Jorit, street artist italiano, abbraccia Putin, “per dimostrare che sei umano”. I video fanno il giro del mondo; ed ecco già comparire, sulle principali testate italiane, lo stesso Jorit esposto al pubblico ludibrio, definito “un burattino nelle mani della Russia”. È stato detto che i «dittatori hanno sempre trovato una sponda in ‘utili idioti’»; si è giustificata la scelta di Jorit come mossa da un basso bisogno di notorietà; è stato vandalizzato il suo murales ad Ischia in risposta al gesto precedente. Eppure, se questa è esattamente la risposta che ci saremmo aspettati dall’Italia, Stato che, oltre a essere filo-ucraino, non esita a demonizzare la Russia, bene, l’Italia si è ancora una volta confermata facilmente prevedibile nei suoi comportamenti: fatuamente atlantisti, ipocriti, in un mutismo verso Gaza che specchia un finto urlo d’emergenza per i bambini ucraini.

D’altro canto non bisogna dimenticare che esiste però un problema di familiarità in Italia con la persona di Putin, da sempre accolta come lo strong Man di cui necessitiamo. Questi sentimenti non sono mai stati celati e le palesi e numerose dichiarazioni di affetto fra i due Paesi, antiche e recenti (da Berlusconi al viaggio di Salvini al Cremlino, fino alla risposta di Putin ad Irene Cecchini), non possono che essere in aperta contraddizione con la posizione severissima dell’Unione Europea e della Nato in merito.

Gli antiputiniani non hanno dunque tutti i torti nel patrocinare trasparenza politica nel nostro Paese, soprattutto in quanto Putin governa da despota, abolisce libere elezioni e libera espressione, e conduce un Paese nella corruzione e nell’imperialismo: tutte caratteristiche che sono, nei fatti, essendo noi sia antiputiniani sia dalla parte di Jorit, constatazioni che è importante riconoscere.

Circa la necessità di affievolire gli entusiasmi filoputiniani nel nostro Paese, ancora indomiti nonostante la guerra in corso, io non posso infatti che schierarmi con le opinioni sopraccitate.

Eppure riconoscere l’immoralità del governo di Putin non vuol dire ridicolizzare Jorit, sminuire il suo gesto politico, evitare di confrontarsi con la realtà che l’Occidente non occupi un pulpito immacolato, che non si presti certo ad elargire prescrizioni morali alla Russia.

Demonizzare Putin, proprio ciò a cui Jorit, col suo gesto, si è opposto, porta infatti a due conseguenze di non trascurabile gravità: ignorare gli abusi dell’Occidente e distanziarci dal tavolo della pace.

In primo luogo, la politica, che si nutre di slogan e di continui “noi e loro”, è ambiente particolarmente fecondo di estremismi; e nonostante i nostri ordinamenti democratici, che invece presupporrebbero una continua modulazione delle specifiche istanze col fine ultimo di raggiungere il consensus omnium bonorum, allo statu quo l’estremizzazione politica è fondamentale prerogativa del successo elettorale.

Questo avviene per due ragioni: in primis, per autodefinirsi, perché, come già menzionato, dividere il panorama politico in “noi e loro” polarizza il dibattito e permette di ricavarsi la propria fetta prediletta di elettori, che contribuiscono a creare un’identità definita nel marasma di partiti; in secondo luogo, per difendersi, perché non essere estremi significa essere moderati, cioè concedere qualcosa ai propri avversari.

Questo tipo di ragionamento, ora intrapreso in confini statali, può essere anche esteso al globo intero.

L’Occidente ha la necessità di demonizzare i propri avversari politici, ponendosi dunque a tutela di quei valori che rappresentano la propria identità, i valori liberali, proprio come farebbe un qualunque PD. L’Occidente e la Russia devono allontanarsi esponenzialmente, perché ne va del proprio utile e della propria sopravvivenza; il manicheismo dei due blocchi, che si diffamano a distanza, è funzionale al benessere e all’identità di entrambi, sicché uno dipende dall’altro come per teoria eraclitea.

Pure polarizzare la realtà non ci permette di distinguere le colpe che anche l’Occidente occulta: la silenziosa partecipazione al genocidio palestinese, nonché una libertà d’espressione non sempre così limpida, che si è spesso vista infranta, in uno spettro che va dall’arresto di Assange al daspo a Sanremo.

Essere al corrente dei nostri stessi abusi ci pone in un’ottica più ampia e relativista; ci fa crollare coi piedi per terra; ci dona una nuova sensibilità etica che perlustri con occhio vigile la quotidianità, per prevenire e criticare quegli abusi che potrebbero compiersi per mano delle nostre stesse intoccabili democrazie.

In secondo luogo, demonizzare Putin pone un altro ostacolo nel raggiungimento di un accordo diplomatico fra Russia e Nato. “Putin è peggio di un animale”, frase di Di Maio dell’inizio del conflitto, riassume ancora piuttosto precisamente l’assetto della Nato, che, dopo indefessi e innumerevoli tentativi di sedersi nella camera dei bottoni, appare quasi essersi data per vinta.

Demonizzare Putin ce lo fa percepire come un infido imperialista; qualcuno che, a differenza nostra, non sarà mai bendisposto a trattare sulla pace, e i cui obiettivi non combaceranno mai con la vittoria della democrazia e delle vite umane.

E se dunque Putin non vuole muoversi verso di noi, perché dovremmo muoverci verso di lui, sebbene in tutte le nostre costituzioni lampeggi a caratteri cubitali la scritta “Ripudiamo la guerra”?

Tutta la questione è spaventosamente complessa e può dare adito a generalizzazioni e banalità. Eppure sostenere la pace non dovrebbe mai essere scontato, soprattutto se all’orizzonte vanno stagliandosi le preoccupazioni guerrafondaie di Macron, che non esclude l’ipotesi di attaccare direttamente la Russia, e una Russia che proprio oggi può orgogliosamente annunciare che Vladimir Putin ha vinto le sue quinte elezioni, con una percentuale circa del 90%.

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