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Nell’ultimo mese la parola “patriarcato”, sul motore di ricerca “Google”, ha avuto un picco di esplorazione il 25 Novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. È un caso che questi due eventi capitino lo stesso giorno o c’è forse una correlazione tra i due?

 

Il termine patriarcato deriva dal greco “partiarkhēs”, composto da “patria” (stirpe) e da “arkhō” (comando), letteralmente “padre di una razza”; nell’antichità il patriarca era il componente, maschio, più anziano di una grande famiglia che aveva piena e indiscussa autorità su tutti i propri  discendenti. Oggi questo termine viene definito come “tipo di sistema sociale in cui vige il ‘diritto paterno’, ossia il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi del gruppo” e si riferisce a un sistema sociale in cui il potere è prevalentemente affidato agli uomini. 

La società patriarcale nasce moltissimi anni fa, circa nel Neolitico (tra 6000 – 4000 anni fa), in seguito alla richiesta dell’uomo di avere controllo sulla propria discendenza; poi, col passare dei secoli, la convinzione che le donne fossero intellettualmente, moralmente e fisicamente inferiori agli uomini è andata via via crescendo. 

Ad oggi questa cultura è ancora ben insinuata nelle nostre vite, basti pensare al fatto che il primo Presidente del Consiglio Italiano ad essere una donna sia stato eletto solamente nel 2022, nonostante questa carica fosse presente fin dai tempi dello Statuto Albertino.

 

Gli stereotipi di genere sono il primo luogo in cui questo tipo di società ha ancora radici ben salde: dall’indagine Istat del 2023 è emerso che il 20,2 % delle persone, tra i 18 e 74 anni, afferma che “è compito delle madri seguire i figli e occuparsi delle loro esigenze quotidiane”. Per ancora molte, e troppe, persone il ruolo della donna è strettamente collegato al ruolo di madre (il 20,9% sostiene che una donna per essere completa deve avere dei figli), il ché è anche accettabile se ci basiamo su un punto di vista fisiologico, per cui una donna diventa una madre così che ci possa essere una continuazione della specie; però a quel punto anche un uomo dovrebbe essere connesso al ruolo di padre, e non sono al ruolo dell’uomo in carriera che è sempre a lavoro e che porta il pane in tavola. 

 

Il 10,2%  degli intervistati nella stessa indagine ritiene accettabile che l’uomo controlli abitualmente il telefono o i social media della propria partner; di questa percentuale il 16,1% è costituito da giovani tra i 18 e i 29 anni, ci mostra come le generazioni più giovani non siano immuni alla cultura del patriarcato. Dunque l’idea che l’uomo abbia un potere sulla propria fidanzata, moglie o compagna è ancora presente nella nostra quotidianità, e se ne vedono i suoi effetti: fin troppo spesso ci sono casi di femminicidi da parte di mariti, compagni, fidanzati ed ex che per gelosia, possesso, incapacità di accettare la fine di una relazione, uccidono la propria partner. 

 

Questa tendenza che ha l’uomo di pensare che la donna gli appartenga si manifesta nella violenza di genere, composta da violenza domestica, stupro, abuso sessuale e catcalling; 6 milioni 788 mila donne hanno subito qualche forma di violenza fisica o psicologica nel corso della propria vita, 2 milioni 44 mila di loro le ha subite da parte del proprio partner o ex partner. Fortunatamente dal 2006 fino al 2014 c’è stato un calo del 2,0% delle violenze ma ciò non significa che una donna  possa liberamente camminare per strada al buio senza avere il timore di non tornare più a casa.

 

Un altro luogo in cui questa disparità di genere è ben evidente è la lingua: l’assenza di termini istituzionali e di potere al femminile, per cui si usa il maschile plurale anche per parlare di soggetti femminili. È anche vero, però, che la lingua italiana non è così recente e che anzi deriva da altre lingue ben più lontane a noi nel tempo, e che dunque modificarla non sarebbe adatto perché sarebbe come modificare una cultura. Ma se invece fosse questo un possibile primo passo verso una società in cui uomo e donna valgono ugualmente?

 

Detto ciò “non si può fare di tutta l’erba un fascio” e l’Europa si sta muovendo per superare queste dinamiche, così ad arrivare verso l’eguaglianza di genere entro il 2030, con iniziative come il piano d’azione sulla parità di genere, che punta a responsabilizzare le donne di tutta l’Europa affinché partecipino ed esercitino cariche di leadership e abbiano voce in tutti i processi decisionali in tutti gli ambiti. Dev’essere però chiaro che la parità di genere non è un obiettivo che soltanto le donne devono perseguire, anche gli uomini devono collaborare a questa sfida e anzi senza il loro impegno lo sforzo femminile non sarà abbastanza.

 

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