integrazione a scuola

L’articolo 34 della nostra Costituzione recita: “La scuola è aperta a tutti”. Tutti, senza alcuna distinzione, perché, come affermano precedentemente, l’articolo 8 e gli articoli 20 e 21, tutte le persone hanno diritto di professare liberamente la loro religione, rimanendo eguali davanti alla legge e il carattere ecclesiastico non può essere soggetto ad alcuna restrizione giuridica.

 

Nonostante ciò che è affermato nel documento giuridico più importante d’Italia, molto spesso si aprono discussioni su come alcuni studenti manifestino questo loro diritto, discussioni che coinvolgono anche esponenti politici. Negli ultimi anni, con l’incremento del numero dei ragazzi di fede musulmana all’interno degli istituti italiani, a seguito del fenomeno di immigrazione che spinge molti cittadini originari del Nord Africa a spostarsi nel nostro Paese, i dibatti sono diventati più frequenti.

Dal diverbio sulle celebrazioni natalizie a quello sull’alimentazione, l’ultima questione è sorta da qualche giorno in Friuli-Venezia Giulia e i suoi echi sono arrivati fino a Roma. A Monfalcone (Gorizia) cinque studentesse di origini bengalesi iscritte all’Istituto professionale Sandro Pertini indossano il niqab, velo che copre integralmente il viso ad eccezione degli occhi, e vengono sottoposte ad un controllo da parte di un’insegnante ogni mattina in un’aula appartata prima di poter cominciare le lezioni. Per la preside Carmela Piraino questo sistema garantisce alla scuola la sicurezza necessaria allo svolgimento delle attività e alle ragazze la possibilità di non essere costrette a rinunciare agli studi, come avviene in molte altre circostanze. La dirigente ha raccontato in un’intervista al “Piccolo”, un quotidiano locale, come il suo istituto si sia adattato per accogliere queste ragazze e dei piccoli cambiamenti che ci sono stati: gli insegnanti di educazione fisica hanno aggiunto lezioni di badminton, le hanno esonerate da alcune attività e loro hanno adattato il loro abbigliamento, ma purtroppo rimangono ancora escluse da alcuni progetti extra scolastici. Il giornale friulano riporta anche alcune interviste fatte tra gli studenti. Le adolescenti italiane non hanno avuto problemi ad affermare che per loro non ha importanza, sanno che è parte della cultura delle coetanee, ma temono che, nonostante non ci siano stati episodi di bullismo, possano essere un po’ escluse, mentre le ragazze bengalesi raccontano che non sono costrette ad indossarlo, è una loro scelta e fa parte del loro credo.

Allora, se nessuno nella scuola ha riportato problemi, come mai si è scatenato il caso?

Si è aperto quando è insorta l’ex sindaca, membro della Lega, Anna Maria Cisint, che già in precedenza aveva emanato una mozione per chiedere il divieto di indossare il velo e aveva cercato di far chiudere la moschea del paese, dove la comunità islamica, soprattutto bengalese-ortodossa, è molto numerosa visto che molti adulti lavorano nei cantieri locali. La protesta della sindaca, che ha già attirato l’attenzione mediatica nazionale, si inserisce nell’ampia lotta all’immigrazione condotta dal suo partito, ma non solo i gruppi di destra si schierano per l’eliminazione del velo nelle scuole italiane. Anche alcuni esponenti del Partito Democratico si sono dimostrati favorevoli, appoggiando l’idea dei leghisti spiegando che, a loro avviso, indossare il niqab ostruisce l’integrazione delle ragazze musulmane nella nostra società.

Il mondo della scuola tramite Roberto Mugnai, vicepresidente del sindacato “DirigentiScuola”, tuttavia, si è schierato a fianco della decisione della preside Piraino: lo scopo è quello di educare i ragazzi al dialogo e a rispettare le differenze, non eliminarle.

La Lega afferma che farà una proposta di divieto dell’uso del velo nei luoghi pubblici, motivandolo anche come “difesa della libertà della donna”. Non tutti si sono mostrati concordi, anche perché questa legge porterebbe all’imposizione di un determinato codice d’abbigliamento e ciò sarebbe completamente agli antipodi rispetto ai principi di uno Stato dove sono rispettati i diritti umani come l’Italia. Idealmente, vietare alle donne di vestirsi come preferiscono è molto simile a quello che avviene nei paesi islamici.

 

Integrarsi però non vuol dire omologarsi al gruppo, bensì entrare a farne parte, fondendo la propria cultura con quella del resto della società e mantenendo la propria unicità. Se sono state prese le adeguate misure di sicurezza e queste non scontentano nessuno, perché creare un problema dove non esiste?

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