Il termine giapponese “Hikikomori” si traduce approssimativamente come “ritirati sociali”, e viene utilizzato per riferirsi a quegli individui, spesso di età compresa tra i 12 e i 17 anni, che ad un certo punto rinunciano alla loro vita sociale o scolastica per isolarsi nella propria camera.
Nel 2018 l’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (CNR-IFC) aveva condotto uno studio sul fenomeno, per capire quanto fosse diffuso nel territorio italiano. Su un campione di oltre 12.000 circa il 2,1% degli intervistati si ritrovava nella definizione di Hikikomori. Si stima che nel nostro Paesi siano circa 54.000 gli studenti con questo tipo di disturbo sociale.
Ma che cos’è che porta gli adolescenti a decidere di isolarsi dal resto del mondo?
La risposta più scontata e superficiale sarebbe quella che attribuisce tutta la colpa ai dispositivi elettronici e a internet, che porterebbero i giovani a investire tutto il loro tempo nei videogiochi o nei social media portandoli ad estraniarsi dalla realtà.
Tuttavia questi tipi di passatempo da soli non basterebbero a portare un ragazzo/a a non volersi più relazionare con altre persone, e vanno quindi considerate altre cause ben più profonde dal punto di vista psicologico.
Forse sono i bulli il problema?
Stranamente il bullismo sembra essere la causa dell’isolamento solamente per l’1% dei ragazzi. Questo ovviamente non vuol dire che il fenomeno specifico vada ignorato, ma che probabilmente ci sono altre motivazioni più frequenti.
Inoltre il problema del bullismo nelle scuole italiane è ben noto, e sono molte le campagne di sensibilizzazione portate avanti negli istituti per contrastare tale fenomeno.
Tra le cause principali di questo tipo di isolamento andrebbe invece considerato il senso di inadeguatezza rispetto ai propri coetanei.
Questo potrebbe derivare dalla difficoltà che molti adolescenti trovano nel relazionarsi con altri ragazzi della propria età, che li porterebbe ad un certo punto a rinunciare completamente a farsi degli amici e costruire rapporti.
Bisogna anche considerare che oggigiorno, soprattutto a causa dei social media, sono molti i giovani che cercano in tutti i modi di costruirsi un’identità, perché sentono la necessità di trovare un qualcosa dentro di sé che dia loro un senso di appartenenza ad un determinato gruppo, e quando non ci riescono si sentono sbagliati o soli, arrivando ad eliminare qualsiasi tipo di relazione sociale.
Un dato interessante riguarda la reazione delle famiglie di fronte a questa situazione: più di un quarto degli intervistati che si definiscono ritirati afferma che i genitori sembrano aver accettato la situazione senza porre domande. Lo stesso accade con gli insegnanti.
Fortunatamente esiste a Torino il progetto Nove ¾, finanziato anche grazie a un premio dell’Accademia dei Lincei, che si occupa di aiutare ragazzi e ragazze isolati tramite un supporto domiciliare e la possibilità di frequentare un centro laboratoriale dedicato. Questa iniziativa prevede anche il coinvolgimento dei genitori nel percorso di sostegno psicologico per affrontare le difficoltà dei loro figli.
È chiaro quindi che il fenomeno degli Hikikomori italiani rappresenta una sfida sociale complessa per il nostro Paese e richiede un approccio mirato, ma soprattutto una maggiore consapevolezza da parte delle persone attorno ai ragazzi.