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Perché dovrebbe essere una vergogna, perché, questo, uno scandalo? Certo ha molto più potere mediatico dipingere le scommesse di un gruppo di giovani calciatori come qualcosa di sordido; e c’è di certo un fondo di verità, perché il vizio avvolge di un’altra luce il nostro sguardo sui campioni. 

Eppure io non credo che questo scandalo arrechi nulla di negativo all’immagine dell’Italia; ma anzi che si possa tramutare in un’occasione di sollevare attenzione su questioni trasversali e spesso passate in sordina, di natura sociale, giudiziaria e informativa.

In primis, questo caso è significativo per il dibattito pubblico perché normalizza l’insoddisfazione nei ricchi.

Il calciatore è sogno incoraggiato, non proibito, di due terzi della virilità italiana.

Tutti vogliono essere calciatori: ogni piccolo gesto sia nel rettangolo sia dietro le quinte è sotto i riflettori di un’intera nazione; il tuo nome, sulle testate calcistiche, masticato nei pranzi di famiglia; ogni occasione, ogni voluttà ti è concessa; e si aprono a te le libertà della popolarità giovane e assoluta. Si è ricchi, celebri e onnipotenti; eppure proprio questi calciatori hanno scommesso.

Sicuramente questo caso ci ricorda che la ricchezza, sebbene possa porci nelle condizioni di una più probabile felicità, e possa darci occasione di realizzare progetti e brame spesso presto accantonati, non è, da sola, prerogativa di una vita piena e soddisfatta.

La crisi dei giovani calciatori italiani, eccellenze dell’Italia, non deve poi stupirci. Se pure ricchi, lo sono di quel ricco dei palazzi vasti e freddi, delle luci artificiali, dei viaggi in prima classe, solitari; del costante lusso; dei lunghi, vuoti, periodi di spostamenti, che non possono essere coltivati in altri interessi (altri sport potrebbero infortunare i giocatori, per esempio), ma che devono essere mantenuti in quest’anestesia: anestesia che si combatte, se non sul campo, dove è tutto un brivido e si ritorna a praticare quel lavoro che si ama tanto, nella sala giochi.

Si potrebbe perdere tutto, ma almeno si avverte il rischio, l’estrazione dalla vita nella bambagia; e si ignora il pericolo anche se consci che scommettere sul calcio possa penalizzare. 

Questo caso ci va ricordando che non la ricchezza, non la fama, non il successo lavorativo e l’ambizione sono dirette prerogative per la felicità, quanto il tempo impiegato in vivi interessi, relazioni significative, e un sistema sentimentale di piccole, vive emozioni di tutti giorni; di giovani che non cercano il grande orgasmo.

E diranno che la ricchezza comunque realizza molto più facilmente i nostri sogni che se vivessimo in un tugurio, cosa con cui concordo: ma se i sogni senza soldi sono comunque prerogativa di soddisfazione e di scopo, ché si ha un obiettivo nobile (raccogliere quei soldi per realizzare i sogni), così come le relazioni (perché gli amplessi ci incendiano gli inverni), avere solo soldi, senza relazioni né sogni da coltivare, non potrà mai costituire sufficiente prerogativa per la felicità.

In secondo luogo, il caso dei calciatori è fondamentale perché costituisce un esempio significativo per il dibattito pubblico sul tema della rieducazione della pena.

Secondo l’articolo 27 della Costituzione le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”, enunciato che oggi, in Italia, si risolve sempre più spesso in un diritto fondamentale mancante.

Le prigioni sono incuria, spogliate della propria funzione e anzi paradossalmente responsabili di esacerbare la criminalità, insufflarla; i meccanismi grossolani, gli spazi ristretti e il sovraffollamento imperante, nonché la mancanza di operatori dedicati alla riabilitazione dei detenuti sono solo alcune delle ragioni che ostacolano il sistema italiano nel raggiungimento della costituzionalità.

L’esempio di Fagioli e Tonali, le cui pene andranno in parte volte in obbligatori incontri terapeutici per contrastare la ludopatia e distogliere dalla ricaduta, ristabilisce la natura rieducativa della giustizia come prima e sua somma finalità, che, mossa da una visione simpatetica della società, crede nella reintegrazione dei condannati in comunità come nuovi e più pronti cittadini.

E, poiché il caso dei calciatori ha mosso un’importante onda mediatica circa la natura rieducativa della pena, auspicabilmente il Governo riconoscerà come urgente la crisi delle carceri, i cui interventi saranno interventi per una società più giusta, in grado di abolire la cultura del colpevole.

Difatti il caso dei calciatori è in terzo luogo fondamentale in quanto sottolinea la capacità dello sport di diffondere consapevolezza su temi importanti. Infatti lo sport, in quanto scenario celebre e globale, spesso amplifica temi ed episodi controversi, specialmente quando questi temi concernono direttamente lo sport.

Numerosi artisti vengono stigmatizzati in quanto accettano di partecipare alle cerimonie dei mondiali in Qatar del 2022, mentre altrettanti rilasciano opposte dichiarazioni etiche in cui giustificano la propria assenza: abbiamo preferito i diritti umani al soldo.

Lo sprovveduto sfruttamento di manodopera immigrata nella frettolosa costruzione di immani stadi, che ha ucciso 6500 operai, nonché le numerose, palesi testimonianze delle violenze contro i membri della comunità LGBTQ+ commesse in Qatar, hanno richiamato l’attenzione del dibattito pubblico sull’eticità di patteggiare con business floridi e iniqui.

Questo caso ci insegna ancora, dunque, quanto lo sport, e in particolare il calcio, possa essere, data la sua onnipresenza, un’opportunità per porgere sotto la lente dell’opinione pubblica temi sociali suggestivi.

Il caso delle scommesse fra i giocatori italiani è dunque significativo perché normalizza l’insoddisfazione nei ricchi, la natura rieducativa della pena, e il ruolo dello sport come amplificatore di temi e battaglie sociali.

 

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