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Nel 2020 fu introdotto legalmente dall’associazione AssoDelivery, il ruolo del rider come nuova professione nel mondo lavorativo. Inizialmente fu un lavoro che si diffuse ampiamente tra i studenti universitari che non erano in grado di pagare le spese per l’università. Anzi secondo dei dati riportati dal “Corriere”, alcuni studenti già a partire dalle superiori avevano iniziato ad intraprendere questo percorso. “ Si trattava di un vero e proprio lavoro strutturato per gli studenti “ lo riporta “Corriere” durante un’intervista. 

Poco a poco gli studenti furono sostituiti da stranieri che necessitavano di un lavoro che non richiedesse specifiche competenze, se non quello di saper andare su un monopattino o bicicletta elettrica. Questi ultimi diventarono, ai giorni d’oggi, i mezzi più efficaci e usati dai rider, poiché non richiedono un alto costo di acquisto e si rivelano più comodi e rapidi nelle consegne rispetto alle automobili o motorini. Infatti in una fase precedente, si verificavano spesso incidenti dovuti alle guide di monopattini illegali e in assenza di caschi. Lo Stato per tutelare la loro sicurezza e quella dei terzi, introdusse una copertura assicurativa obbligatoria in caso di incidenti, indipendentemente dal mezzo utilizzato. 

Anche se ci sembra un lavoro piuttosto semplice, le condizioni lavorative in realtà non sono del tutto tutelate. L’intero sistema lavorativo si basa su degli algoritmi che valutano ed influenzano direttamente sui guadagni di ogni singolo rider. Questi algoritmi classificano ogni rider in determinate fasce, da quelli più veloci a quelli più lenti, dai rider muniti di mezzi migliori a quelli meno efficaci. Il rider ha la possibilità di rifiutare una consegna, ma viene penalizzato dall’algoritmo che in seguito gli assegnerà meno consegne. Infatti spesso un rider che sta online per tante ore, non è detto che riesca a guadagnare più soldi. 

A questo punto, ci si chiede se lo sviluppo della tecnologia abbia veramente portato all’uomo dei risultati positivi e vantaggiosi. Quello di cui possiamo essere certi è sicuramente il fatto che la tecnologia abbia contribuito alla nascita di nuovi mestieri, come in questo caso quello delle consegne a domicilio. Ma le condizioni di tutela sono veramente umane? Gli algoritmi impostati rispettano moralmente ogni singolo rider? 

La risposta è sicuramente negativa, anche se sono già presenti alcune leggi, ma queste ultime non sono ancora abbastanza sufficienti per la loro tutela. Se un rider viene penalizzato dall’algoritmo per il proprio mezzo, non è sicuramente colpa loro poiché essi non hanno le possibilità economiche per permetterselo. Per valutare i rider non è sufficiente basarsi su degli algoritmi. Ad esempio, i rider che effettuano le consegne durante le giornate di tempesta e non sono riusciti a consegnare in tempo, come fa a valutarli il sistema? Quindi sarebbe opportuno che lo Stato trovi delle nuove soluzioni e che revisioni le impostazioni degli algoritmi, in modo tale che determinati lavoratori non vengano penalizzati per le proprie mancanze economiche.

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