bambina

“Cosa vorresti fare da grande?”: una domanda che tutti, almeno una volta, abbiamo ascoltato e alla quale forse abbiamo con un po’ di imbarazzo ed incertezza dovuto rispondere e alla quale, magari, stiamo ancora cercando di dare risposta.

Sin da piccoli ci viene chiesto, se pur superficialmente e in modo scherzoso, di riflettere, di pensare a cosa vorremmo fare una volta cresciuti. Allora, tutto appariva affascinante, guardavamo con ammirazione il lavoro dei nostri genitori, e il mondo del lavoro ci appariva così lontano e misterioso, un mondo che volevamo scoprire, di cui volevamo al più presto far parte. Eravamo attratti da ogni singolo mestiere e quando vedevamo qualcosa che suscitava in noi quel pizzico di curiosità e meraviglia, dicevamo: “Mamma, Papà: anch’io voglio andare sulla Luna; anch’io voglio essere un dottore e aiutare tutti i bambini del mondo!”

Ed in un attimo, però, la bambina, che viaggiava con la fantasia giocando ed inventando storie per animare la vita dei propri giocattoli, passava dall’infanzia alla ragazza quasi del tutto matura che deve adesso animare la propria di vita facendo diventare quello stetoscopio di plastica un vero strumento con cui ipotizzare soluzioni mediche in grado di guarire, trasformando quel piccolo sogno nascosto in una realtà tangibile.

Oggi io ho un desiderio. Un grande e difficile obiettivo che vorrei raggiungere. Diventare un buon medico.

Sto riflettendo molto sulla mia scelta e sono cresciuta con il pensiero di voler coltivare una passione nata sin da quando ero bambina, in un momento della mia infanzia che non saprei individuare con precisione, ma che adesso, con il passare del tempo e con il mio addentrarmi nello studio di nuove discipline, più specifiche, chimiche, biologiche e, se vogliamo, mediche, inizia a diventare qualcosa di meno astratto e più concreto in me. 

La domanda che mi pongo oggi è: cosa mi aspetto da questo lavoro?

Ci sono diversi fattori che condizionano la scelta di una professione. É vero che il primo passo consiste nell’ascolto dei propri interessi sulla base dei quali comprendere cosa vorremmo fare per il resto della nostra vita, però non si tratta solo di intraprendere un nuovo percorso didattico. Bisogna anche chiedersi cosa ci aspetta al termine degli studi, quali saranno gli strumenti che verranno messi a disposizione per poter mettere in pratica le conoscenze acquisite, ma, soprattutto, come sarà l’ambiente lavorativo in cui ci si troverà ad operare. Insomma, occorre legare il proprio interesse scolastico del presente a quello che potrebbe trasformarsi in talento in un immediato futuro. 

Un altro fattore a cui penso spesso è l’esperienza pratica. Mi piacerebbe intraprendere un percorso didattico in cui possa di volta in volta mettere in pratica ciò che studio facendo esperienze interessanti e formative. Credo che questa sia una mancanza nelle scuole italiane in cui si dà troppo rilievo alla teoria più che alla pratica. Un esempio significativo è quello di un ragazzo che, una volta terminati i suoi studi in medicina e chirurgia e, laureato a pieni voti, decide di cambiare indirizzo perché solo al suo primo intervento chirurgico si rende conto di non riuscire a gestire l’ansia e di non sopportare la vista del sangue. Questa è la dimostrazione chiara di come lo studio e la preparazione di uno studente non siano l’unica cosa di cui tener presente. Forse bisognerebbe fare meno esami teorici e dare, invece, allo studente l’evidenza scientifica e galileiana di ciò che studia.

Infine, si deve pensare all’ambiente in cui si opera. Lavorare in un ambiente in cui ci si trovi a proprio agio con dei colleghi che si aiutino a vicenda; un datore di lavoro che garantisca non solo una buona struttura ospedaliera in cui poter lavorare bene e con gli appositi strumenti, ma anche un corretto numero di ore lavorative che permetta al lavoratore di dedicare del tempo alla propria continua e necessaria formazione professionale per mantenersi aggiornati rispetto alle tecniche che si avvicendano veloci e, non ultimo, di dedicare tempo agli interessi personali come alla propria famiglia.

Molto spesso infatti i lavoratori sono costretti a lavorare un maggior numero di ore per mancanza di personale con la conseguenza che il lavoratore, poiché troppo stanco, non sia al pieno delle proprie facoltà. Anche in questo caso occorre precisare un punto a sfavore dell’Italia: ci sono pochi medici e, in generale, pochi specialisti, ma nello stesso tempo, ci si adopera poco per indirizzare con oculatezza i candidati verso un percorso di selezione che non sia solo finalizzato alla eliminazione degli stessi. I test psicoattitudinali di ingresso alla facoltà di Medicina sono diventati negli ultimi anni molto più che impegnativi. A volte vengono fatte domande di cultura generale che vanno ben al di là degli scopi del test stesso, togliendo al giovane studente la possibilità di esprimersi in un suo percorso di studio che potrebbe confermare un talento come medico professionista.

Quando, quindi, penso al mio futuro lavorativo, mi immagino in una professione che possa rendermi soddisfatta e più forte, determinata nel raggiungimento di obiettivi di grande importanza che portino con sé notevoli responsabilità. Vorrei un lavoro che mi metta continuamente in gioco, ponendomi di fronte a nuovi interrogativi che mi rendano più matura e pronta a superare futuri ostacoli che subentreranno nel corso del mio cammino. Un lavoro che non sia monotono ma, al contrario, che sia una costante sfida, un viaggio continuo alla ricerca e scoperta di nuove mete che aprano alla conoscenza per il bene comune di tutti noi.

 

 

 

 

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